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ASSOLO PER TRIO CON PIANOFORTE E BOLLE DI SAPONE

Un eccentrico pianista si presenta sul palco con l’emozione e la tensione delle grandi occasioni.
Finalmente dopo anni di studi potrà esibirsi davanti ad un pubblico in un vero teatro. Ma l’imprevisto è in agguato e tra improbabili incidenti, incontri fortuiti e veri e propri colpi di scena le cose non andranno proprio come da programma…
Un vero e proprio concerto che accompagna sognanti danze di bolle di sapone di ogni forma e dimensione in un nuovo allestimento natalizio!

Davide Baldi e Federico Caruso hanno composto i brani eseguiti nello spettacolo, musica contemporanea con ispirazioni jazz. Dal vivo suonano pianoforte e clarinetto, ma essendo polistrumentisti non esitano ad utilizzare fisarmonica, chitarra percussioni e se necessario alcuni passaggi di musica elettronica.

CREDITI

di Michele Cafaggi
regia TED LUMINARC
con Michele Cafaggi (attore e clown)
e i musicisti Davide Baldi e Federico Carso
musiche originali di Davide Baldi e Federico Caruso
produzione STUDIO TA-DAA!

durata 70 minuti
tout public, da 3 a 103 anni
spettacolo senza parole con musica dal vivo
tecniche utilizzate clownerie, pantomima, teatro d’attore, teatro d’oggetti, bolle di sapone

SPETTACOLO
Venerdì 20 dicembre 2024 | ore 20.30

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“Delirio a due” è un piccolo capolavoro del Teatro dell’Assurdo, un irresistibile scherzo teatrale tipico del miglior Ionesco, dove la cornice comica e beffarda e il funambolismo verbale fanno comunque trasparire una società che affoga nella tragedia quotidiana e nella sconcertante gratuità dei comportamenti, e dove il linguaggio, invece di essere strumento di comunicazione, è un ostacolo che allontana e divide. Nella commedia domina il paradosso e il grottesco e la perenne, futile, incessante lite tra Lui e Lei, ridicole marionette umane imprigionate nella ragnatela di un ménage familiare annoiato e ripetitivo.

Il tema del contendere è sempre e solo un pretesto: la chiocciola e la tartaruga sono o non sono la stessa bestia? Un grimaldello assurdo (ma che i due vivono come fondamentale) che fa da trampolino a un dialogo sempre più serrato, funambolico e bellicoso che presto raggiunge le vette di un nonsense da comica finale, di un tragicomico Helzapoppin domestico. E tutto ciò mentre all’esterno della casa infuria una misteriosa guerra civile che i due, sordi e ciechi alla realtà, quasi non percepiscono, impermeabili alle bombe che esplodono, alle sparatorie che echeggiano nella via, alle stragi, ai muri e ai soffitti che crollano. La potenza comica ed eversiva di Ionesco arriva in questa pièce a risultati geniali e tragicomici, e la naturalezza surreale con la quale l’autore costruisce dialoghi e situazioni di questo cinico gioco al massacro diventa a poco a poco un formidabile strumento di analisi e critica di una società ottusa e urlante, troppo spesso incapace di afferrare il senso di ciò che le accade intorno, addirittura compiaciuta dalla propria grettezza. In scena Corrado Nuzzo e Maria Di Biase prestano a “Delirio a due” la loro naturale bizzarria, il loro talento imprevedibile e mai convenzionale, il loro gusto per il capovolgimento improvviso che disegna una situazione che è la perfetta, amara metafora dell’oggi, dove riso e sorriso evidenziano ancor più la banalità quotidiana, il conformismo, le paure di una società inaridita e patologicamente insoddisfatta di sé.

 

CREDITI
DELIRIO A DUE
di Eugène Ionesco

regia di GIORGIO GALLIONE
con Corrado Nuzzo e Maria Di Biase
traduzione di Gian Renzo Morteo
produzione AGIDI e Coop CMC/Nidodiragno
scene e disegno luci NICOLAS BOVEYcostumi FRANCESCA MARSELLA
La commedia DELIRIO A DUE di EUGÈNE IONESCO è rappresentata in Italia dall’Agenzia D’Arborio – Roma

SPETTACOLO
giovedì 21 novembre 2024 | ore 20.45

INFO
Spettacolo inserito nella rassegna Prosa classica

 

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Peter Stein, dopo il successo de “Il Compleanno” di Harold Pinter nella scorsa stagione, dirige nuovamente la straordinaria compagnia mettendo in scena “Crisi di Nervi”, tre atti unici di Anton Cechov. Stein torna ad uno dei suoi autori di riferimento e crea una modalità produttiva artistica non consueta, coinvolgendo un gruppo di attori e collaboratori per una continuità creativa collettiva di notevole spessore. Gli atti unici di Cechov, scritti tra il 1884 e il 1891, sono stati rappresentati in tutto il mondo. Ispirati alla commedia francese e al vaudeville, molto popolari in Francia all’epoca di Cechov, sono stati fonte di ispirazione e studio per attori e scrittori di teatro e hanno divertito intere generazioni di spettatori di tutte le lingue.

Dopo il successo de IL COMPLEANNO di Harold Pinter nella passata stagione, il grande regista tedesco Peter Stein dirige la medesima straordinaria compagnia mettendo in scena CRISI DI NERVI, ovvero tre atti unici di Anton Cechov, tornando ad uno dei suoi autori di riferimento e creando una non consueta modalità produttiva artistica attorno ad un gruppo di attori e collaboratori, per una continuità creativa collettiva di notevole spessore. Stein ha scelto L’ORSO, I DANNI DEL TABACCO, DOMANDA DI MATRIMONIO e per l’interpretazione MADDALENA CRIPPA, ALESSANDRO AVERONE, GIANLUIGI FOGACCI, SERGIO BASILE, ALESSANDRO SAMPAOLI ed EMILIA SCATIGNO che si alterneranno nelle varie pièce, che lo stesso Cechov non ancora trentenne definiva “scherzi scenici”: sono i drammi più piccoli del mondo… in generale, è molto meglio scrivere cose piccole che grandi: poche pretese e successo assicurato. Cos’altro? In realtà gli atti unici del grande autore russo sono stati rappresentati in tutto il mondo. Scritti tra il 1884 e il 1891 e ispirati alla commedia francese e al genere del vaudeville, molto alla moda in Francia ai tempi di Cechov, sono stati fonte di ispirazione e di studio per gli attori e gli scrittori di teatro e divertimento per intere generazioni di spettatori di tutte le lingue.

SPETTACOLO
giovedì 13 febbraio 2025 | ore 20.45

CREDITI
CRISI DI NERVI – TRE ATTI UNICI
di Anton Cechov
regia Peter Stein
produzione Tieffe Teatro Milano e Teatro Biondo Palermo
adattamento Peter Stein e Carlo Bellamio

L’orso
con Maddalena Crippa, Sergio Basile, Alessandro Sampaoli

I danni del tabacco
con Gianluigi Fogacci

La domanda di matrimonio
con Alessandro Averone, Sergio Basile, Emilia Scatigno

Assistente alla regia Carlo Bellamio
Scene Ferdinand Woegerbauer
Costumi Anna Maria Heinreich
Luci Andrea Violato

INFO
Spettacolo inserito nella rassegna Prosa classica

 

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Sono confidenze sussurrate, confessioni bisbigliate quelle della Molli. Punto di partenza dal quale Gabriele Vacis, regista, e Arianna Scommegna, attrice, prendono le mosse è il monologo di Molly Bloom che conclude l’Ulisse di Joyce. Il personaggio di Molli viene calato in una quotidianità dalle sonorità milanesi, traslando il testo in una trama di riferimenti culturali, storie e canzoni che hanno il sapore del nostro tempo. Arianna Scommegna è sola sul palcoscenico, seduta al centro della scena; il suo monologo intenso, irrefrenabile, senza punteggiatura, senza fiato, è stretto tra una sedia, un bicchiere poggiato a terra e una manciata di fazzoletti ad assorbire i liquidi tutti, sacri e profani, di una vita di solitudine e insoddisfazione, come una partitura incompiuta. Il fiume di parole è lo stesso flusso di coscienza del personaggio di Joyce che riempie una notte insonne di pensieri e bugie, mentre aspetta il ritorno a casa del marito, Leopold, come la Molli aspetta Poldi. L’attrice, in bilico tra il romanzo e la vita, ripercorre la propria esistenza di poco amore, infinite attese, occasioni mancate, dal primo bacio a un rosario di amanti da sgranare per mettere a tacere il vuoto, dal dolore di un figlio perduto fino a un finale ‘sì’ pronunciato comunque in favore della vita, dell’amore da una donna mai piegata alla rassegnazione. Le note dolenti si stemperano sempre nell’ironia e in una levità che tutto salva; il testo gioca sempre, costantemente, con il doppio registro denunciato fin dal sottotitolo, Divertimento alle spalle di Joyce. Frammenti di vita raccontati in modo ora scanzonato ora disperato, storie di carne e sangue, vita che scorre come lacrime, che si strozza in un grido o si scioglie in una risata.

“Meritato, anzi meritatissimo – e a giungere nel momento giusto, quando il suo curriculum è ormai ricco di solide e bellissime prove, come la recente e straordinaria Cleopatràs di Giovanni Testori – questo Premio Hystrio all’interpretazione che viene assegnato ad Arianna Scommegna.
Attrice, la lombarda Scommegna, che da un quindicennio – cioè da quando comparve sulla scena e fu tra le fondatrici della compagnia ATIR – ha saputo imporsi non solo grazie al suo forte temperamento, ma anche e soprattutto perché capace, grazie a un impressionante ventaglio di registri espressivi, di recare a ogni suo personaggio qualcosa di struggentemente personale. Capace di caricarlo di una verità nuova e sconosciuta.
È successo, sotto la guida di Serena Sinigaglia, con la shakespeariana Giulietta, con il triplice ruolo di Fool/Lear/Cordelia in Lear, tutto su mio padre, con Ecuba ne Le Troiane. Ma Arianna ha saputo imporre il suo talento anche nel monologo. Se con Cleopatràs ci ha folgorato, non meno siamo stati avvinti quando, diretta da Gabriele Vacis, ha affrontato Joyce nello strepitoso La Molli, divertimento alle spalle di Joyce o ci ha condotto nella Milano di oggi causticamente descritta in Qui la città di M. da Piero Colaprico. Il Premio viene dato all’intrepida Arianna a valere anche d’auspicio per una fama ancor più grande di quella che già conosce”. (Motivazioni Giuria Premio Hystrio all’interpretazione, 2011)

CREDITI

LA MOLLI
Divertimento alle spalle di Joyce
di Gabriele Vacis e Arianna Scommegna
regia Gabriele Vacis
con Arianna Scommegna
produzione ATIR

SPETTACOLO
martedì 08 ottobre 2024 | ore 20.45

INFO
Spettacolo inserito nella rassegna Prosa contemporanea

 

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Spettacolo all’interno del MAGGIORE_DANZA Centro diffuso di produzione e programmazione della Fondazione Egri per la Danza

“Glorificare il culto dell’immagine e dell’estetica è il mio obiettivo, ancor più che il significato” (Charles Baudelaire)

Al centro del lavoro un universo coreografico che mette il corpo, con tutta la sua fragilità, quale elemento fondante e transito ineludibile. La naturale bellezza del corpo dei danzatori e della musica di Bach ha nella creazione un corollario di suoni della natura e del mondo animale, come delle mini ouverture che introducono le note bachiane. Immagini bucoliche si susseguono, una natura quasi da alba dell’umanità dove i suoni dell’oggi, della sua violenza e tragedia sono ancora assenti, un grido d’allarme “futurista” che crea spazi su cui riflettere e sul sentire comune a volte assopito.

Far vivere in danza l’ammirazione che Zappalà nutre da sempre per il grande musicista tedesco è stato il fattore trainante che gli ha permesso di comporre tra soli, duetti, trii e ensemble, alcune delle pagine coreografiche a lui più care nella sua trentennale attività. Il titolo ‘Rifare Bach’ vuole anche essere un richiamo alle tante rivisitazioni musicali che nel tempo sono state fatte delle opere del compositore tedesco, e alcune di queste sono parte della ricerca del coreografo nella composizione musicale dell’opera.

Molti anni sono trascorsi da quando Roberto Zappalà si è confrontato con una creazione priva di una forte drammaturgia spesso legata al sociale, in Rifare Bach nessuna drammaturgia articolata e nessun intellettualismo, soltanto una stretta relazione tra l’estetica più eterea della musica e quella più carnale della danza per un viaggio denso di poesia.

Ascoltare la natura e i suoi “silenzi”, per un ritorno a un mondo dove sia ancora possibile intendere la “straziante e meravigliosa bellezza del creato” (Pasolini “Che cosa sono le nuvole?”).

“Gli esseri umani hanno da sempre guardato alla natura per comprendere il senso del loro essere qui e delle loro azioni. La natura è comune a tutti ed è la madre di tutti, considerare la natura equivale a considerare l’universalità delle cose. La definizione etimologica di universo pone l’accento sull’unità di corpo e scopo quindi universalità equivale alla volontà di unire tutti in una dimensione di convivenza.
La musica di Bach per quanto mi riguarda riesce ad unire ogni espressione d’arte sotto uno stesso involucro ed è strumento di creatività infinita così come lo è la natura, anche quella che (nei suoni) é presente nel mio lavoro e che ha stimolato la mia capacità cognitiva di creare e inventare e così il mio processo di acquisizione di conoscenze e comprensione attraverso il pensiero.
Uno spazio dove silenzio, ascolto, percezione e gesto saranno presenti in modo unitario nel rispetto delle singole differenze.”

ROBERTO ZAPPALÀ

CREDITI
RIFARE BACH
La naturale bellezza del creato
Compagnia Zappalà Danza

coreografia e regia Roberto Zappalà
musica Johann Sebastian Bach
un progetto di Roberto Zappalà e Nello Calabrò
danzatori Giulia Berretta, Andrea Rachele Bruno, Corinne Cilia, Filippo Domini, Laura Finocchiaro, Anna Forzutti, Gaia Occhipinti, Silvia Rossi, Valeria Zampardi, Erik Zarcone
luci e scene Roberto Zappalà
costumi Veronica Cornacchini e Roberto Zappalà
realizzazione scene e costumi Theama for Dance
assistente alle coreografie Fernando Roldan Ferrer
direttore tecnico Sammy Torrisi
ingegnere del suono Gaetano Leonardi assistente di produzione Federica Cincotti
management Vittorio Stasi
ufficio stampa nazionale Veronica Pitea
direzione generale Maria Inguscio
produzione Scenario Pubblico/Compagnia Zappalà Danza Centro di Rilevante Interesse Nazionale
in coproduzione con Belgrade Dance Festival (Belgrado), Fondazione Teatro Comunale di Modena e MilanOltre Festival (Milano)
coproduzione e residenza Centre Chorégraphique National de Rillieux-la-Pape
in collaborazione con M1 Contact Contemporary Dance Festival (Singapore), Hong Kong International Choreography Festival (Hong Kong), Teatro Massimo Bellini (Catania)
Con il sostegno di MIC Ministero della Cultura e Regione Siciliana Ass.to del Turismo dello Sport e dello Spettacolo

SPETTACOLO
martedì 04 marzo 2025 | ore 20.45

INFO
Spettacolo inserito nella rassegna Danza

 

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Grisù, un giovane draghetto sputafuoco, vive con il papà Fumè in una caverna sotto al vulcano proprio vicino al paese in cui vive Stella, la sua migliore amica umana. Anch’essa vive con il papà David, il capo dei pompieri locali. Grisù e Stella hanno un sogno nel cassetto: lei vuole diventare giornalista lui vuole diventare vigile del fuoco, cosa piuttosto difficile per un draghetto sputafuoco.
Qualcosa, o meglio qualcuno, decide però di mettere loro i bastoni fra ruote. Una cattiva appare prima negli incubi di Grisù e poi in carne e ossa proprio lì, nelle strade del paese. Malasorte è il suo nome e si nutre delle paure degli esseri umani. La paura di rimanere soli per Malasorte è una fetta di torta violetta, la paura di non riuscire un bel pollo arrosto blu, la paura di perdere le persone che amiamo una macedonia di tutti i colori.
E Grisù e Stella, come tutti i bambini di quell’età, di paure ne hanno tante: dovranno imparare a capirle e affrontarle, perché come dice David “un eroe non è chi non ha nessuna paura, ma chi riesce a vincerla!”. Malasorte, non riuscendo ad averla vinta attraverso gli incubi in cui immerge i ragazzi, appare dal vivo cercando malamente di travestirsi prima da venditore ambulante di strani aggeggi che rimbambiscono chi li usa, poi come fantasma del bosco.

La squadra dei nostri eroi riesce tuttavia a tenerle testa scacciandola con delle gran fiammate di Grisù. Ma il suo piano finale, che prevede il rapimento di David e Fumè, metterà a dura prova i nostri giovani protagonisti.
Coraggio, l’avventura li chiama!

Grisù – un drago senza paura è un vero e proprio musical per il giovane pubblico con drammaturgia e musiche originali ispirate ai personaggi della celeberrima serie animata degli anni Settanta oggi presentata in una nuova veste. Le vicende del draghetto, presentate nella serie animata sotto forma di brevi avventure, qui trovano una solida unità, costruendo un percorso di crescita per i giovani protagonisti Grisù e Stella (e perché no anche per i loro papà) e di consapevolezza dei propri talenti e dei propri punti di forza.

Lo spettacolo ci parla di sogni, di quanta forza e dedizione bisogna metterci per raggiungerli, di quanto si possa essere più forti e determinati se ci si trova insieme ad un amico.

I brani originali alternano atmosfere avventurose e giocose a momenti più romantici e poetici per costruire un’ora di narrazione avvincente adatta al giovane pubblico.

Lo spazio sarà un tributo ai cartoni animati e al teatro: fondali disegnati, pop up di elementi che si stratificano generando i diversi ambienti, elementi bidimensionali dipinti che scorrono, proprio come se la mano del disegnatore originale tracciasse i contorni di luoghi e personaggi.

Anche i costumi appartengono al mondo fantastico della scenografia, con colori vivaci che creano personaggi ben delineati.

Il progetto

Sulla scia dei family show Il Gruffalò e Malèfici, Fondazione Aida ets ha intrapreso una nuova avventura e ha aperto un canale di collaborazione con Mondo TV Group. L’interesse verso il personaggio di Grisù, cartone ideato anni fa dai fratelli Pagot (Toni e Nino, pionieri dell’animazione italiana e inventori, tra l’altro, del pulcino Calimero) ha portato all’allestimento di una commedia musicale originale in lingua italiana, accettando questa nuova sfida il draghetto Grisù calcherà i palcoscenici italiani per la prima volta nella storia del franchise. Pagot si è reso inoltre disponibile ad una collaborazione con il team creativo per la trasposizione drammaturgica al fine di qualificare e tradurre per la prima volta nel linguaggio teatrale le storie del famoso draghetto.
Fondazione Aida può contare su una consolidata rete di collaborazioni: Associazione A.T.T.I., Fondazione Atlantide Teatro Stabile di Verona, CSC Centro Servizi Culturali Santa Chiara come co-produttori e Fondazione Caritro come sostenitore del progetto.

CREDITI
drammaturgia Manuel Renga con la collaborazione di Marco Pagot
regia MANUEL RENGA
musiche di Francesco Lori
vocal coach Eleonora Beddini
coreografie di Giuseppe Brancato
assistente alla regia Lucia Messina
scenografie e costumi di Valentina Volpi
cast Jasmine Lazzoni – Malasorte, Andrea Messina – Grisù, Jacopo Violi David/Fumè, Sara Zappi – Stella
produzione Fondazione Aida, Fondazione Atlantide Teatro Stabile di Verona, Associazione A.T.T.I., CSC Centro Servizi Culturali Santa Chiara
con il sostegno di Fondazione Caritro

SPETTACOLO
Domenica 24 novembre 2024 | ore 16.00

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Spettacolo vincitore In-Box 2024

“Quando essere innamorati significa soffrire, stiamo amando troppo” scrive Robin Norwood in Donne che amano troppo.
Io sono una donna che ha amato troppo. Io sono una donna che credeva che senza un partner niente avrebbe avuto senso, io non avrei avuto senso.
L’idea della coppia, dell’amore a tutti i costi condizionavano tutta la mia esistenza, vivevo e amavo con lo scopo di raggiungere un idilliaco e favolistico mondo dove a mio avviso si era al riparo dall’angoscia che ogni tanto mi veniva a trovare, da quel vuoto che mi terrorizzava e che non riuscivo a sopportare, e ogni tipo di relazione, sentimentale e non, era caratterizzata dalla paura paralizzante di essere abbandonata. L’altro, qualsiasi altro fosse, era il mio lavoro, da tutelare, proteggere, gratificare, mettere al primo posto. Io non ero importante, a me interessava non essere abbandonata e per questo avrei fatto qualsiasi cosa.
Si ripetevano quindi schemi uguali seppur in contesti e modalità diverse, che mi facevano stare molto male e mi facevano sentire sbagliata, difettosa.

Poi, ad un certo punto, ho scoperto di non essere sola. Ho compreso che la mia sofferenza era la stessa di tante altre persone. Nel 2013 la “dipendenza affettiva” è stata inserita per la prima volta nel Dsm-5, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, il testo sacro degli psichiatri, ed è stata introdotta come “new addiction” insieme ad altre nuove dipendenze, al pari del gioco d’azzardo, dello shopping compulsivo, della dipendenza da internet o da sport. È stato inoltre provato quanto essa riguardi tutti, senza distinzione di alcun tipo, proprio perché ha a che fare con una “educazione relazionale” che è fondamentale per conoscere le macro violenze e anche per riconoscere le micro violenze, quelle più subdole, sottili, che viaggiano nel sotterraneo e che sono tuttavia di per sé già campanello d’allarme che deve indurci all’allontanamento.

MOLTO DOLORE PER NULLA è il racconto dei miei troppi amori troppo amati, intrecciato a storie di persone che negli anni ho incontrato, ascoltato, conosciuto, consolato. È anche però la storia di quando ci si sveglia, di quando si devono aprire gli occhi per salvarsi e ascoltare finalmente il vuoto di cui si ha così terrore, scoprendo di quanta ricchezza è pieno. È la cronaca della fatica che si fa per crescere, per smarcarsi dai modelli di riferimento e per imparare a rispettarsi per come siamo. È uno sguardo sulla pazienza che si impara ad avere quando il nostro corpo cambia ma rimangono i segni delle smagliature a ricordarci quante volte abbiamo vomitato per l’angoscia di una telefonata che non sarebbe mai arrivata, ed essere fieri di quelle cicatrici e a non aver paura di mostrarle.

È il racconto di un dolore attraversato, da perdonarsi e persino da ringraziare perché è anche merito suo se si può guardare con un sorriso tenero e divertito a ciò che siamo stati e che siamo, e tutto questo non è nulla.”

LUISA BORINI

CREDITI

MOLTO DOLORE PER NULLA
di Luisa Borini
regia LUISA BORINI
drammaturgia Luisa Borini
attori Luisa Borini
disegno luci Matteo Gozzi
progetto sonoro Leo Merati
abito di Clotilde Official
produzione Atto Due
con il sostegno di ZUT! e C.U.R.A Centro Umbro Residenze Artistiche e Strabismi
selezione Strabismi 2022

SPETTACOLO
martedì 4 febbraio 2025 | ore 20.45

INFO
Spettacolo inserito nella rassegna Contemporanea

 

In Scene da un matrimonio, Raphael Tobia Vogel esplora il tema dei sentimenti familiari e delle dinamiche che caratterizzano la relazione di coppia.
Lo spettacolo trae ispirazione dal celebre capolavoro di Ingmar Bergman, proposto come miniserie televisiva cinquant’anni fa successivamente trasformata in lungometraggio. Un’opera capace di lasciare un segno indelebile, non solo nella storia del cinema.  È la storia di una coppia che cerca un modo per rimanere unita e apparire felice, pur vivendo un rapporto segnato da crepe e insoddisfazioni, rabbia, risentimento e tensioni accumulati negli anni. Lo spettacolo esplora temi universali quali il matrimonio, la famiglia borghese e le convenzioni sociali, e sottolinea il peso delle maschere che impediscono la vera conoscenza e una relazione autentica.

Protagonisti dello spettacolo, Sara Lazzaro e Fausto Cabra. Sara Lazzaro, formatasi al Drama Centre di Londra, è volto noto al grande pubblico televisivo per la sua partecipazione a DOC e The Young Pope. È stata diretta in cinema tra gli altri da Andrea Segre e Paolo Virzì e in teatro da regi sti come Giorgio Sangati, Marco Tullio Giordana e Cristina Comencini.

Fausto Cabra è un pluripremiato attore e regista tra i più apprezzati e preparati della sua genera zione. È stato tra i protagonisti di Lehman Trilogy di Luca Ronconi e ha al suo attivo importanti esperienze teatrali con grandi registi, da Declan Donnellan a Carlo Cecchi, da Mario Martone a Valerio Binasco.

La capacità di Raphael Tobia Vogel di perlustrare la natura dei sentimenti nelle relazioni di coppia e familiari, emerge già chiaramente nei suoi la vori precedenti (Per strada, Buon anno ragazzi, Mutuo soccorso, di Francesco Brandi e Marjorie Prime, di Jordan Harrison).

Ma è soprattutto nella sua ultima regia Costella zioni di Nick Payne, che Vogel – come ha riconosciuto il pubblico con il tutto esaurito delle repliche al Parenti e come ha sentenziato la critica – fa un salto di maturità e sensibilità registica, raccontando con una limpidezza esemplare la geometria dei sentimenti della coppia protagonista del testo.

NOTE DI REGIA

Giovanni e Marianna sono sposati da dieci anni, hanno due figlie piccole e una vita apparentemente ideale. Si avvertono solo delle piccole crepe nell’adempiere alle pesanti responsabilità sociali e familiari che la vita borghese impone loro. Desiderano rompere quella gabbia di doveri e di obblighi imposti dalla società. Malgrado la loro età adulta ci appaiono come due bambini. E come tali, finiranno per scagliarsi uno contro l’altra. Troppi il risentimento e l’odio coltivati negli anni, ma tenuti ben nascosti. Il loro amore però, seppur imperfetto, violento, fatto anche di dipendenza e patologia, non muore mai del tutto: anche quando il tumulto della passione e quello della vendetta saranno tramontati, Giovanni e Marianna non riusciranno mai a stare l’uno senza l’altra. E una volta superati e abbandonati i concetti di matrimonio e di famiglia, torneranno a un affetto più dolce, docile ma anche più profondo. Si saranno fatti la guerra, ne saranno usciti entrambi sconfitti e potranno finalmente deporre le armi.

Ma la vera guerra avviene dentro loro stessi: i nostri protagonisti si scontrano con un profondo senso di vuoto e di confusione nel non riuscire ad afferrare il senso della loro vita. Si annoiano a vivere la monotonia della ripetizione. Qualcosa è morto in loro quando la quotidianità ha preso il sopravvento sulla sorpresa.

Trovano nell’altro quegli stessi demoni che vorrebbero annientare in loro stessi.

Dopo una vita intera con addosso maschere, una  vita passata a “nascondere la spazzatura sotto il  tappeto”, i loro spiriti devastatori emergono portando tanto dolore, ma finalmente anche verità.  Osserviamo da vicino e ininterrottamente il dimenarsi di due esseri umani complessi e contraddittori, come fossero sotto una gigantesca lente

di ingrandimento che mette a fuoco ciò che è più doloroso. Bergman ci dice che la vita dei sentimenti è così complicata che, forse, solo attraverso le lenti della finzione riusciamo a vedere tutto ciò che nella nostra vita quotidiana fa troppo male e a volte non vogliamo vedere. Vorrei che questo spettacolo fosse anche un campanello di allarme per tutti noi. Soprattutto in una epoca in cui l’evasione dai problemi, l’autodistruzione e, in particolare, la violenza coniugale sono tristemente molto attuali.

Vorrei che il pubblico sentisse di essere seduto in prima fila a testimoniare segretamente, a sbirciare dentro l’intimità di questa coppia e di questa casa che, peraltro, è come una sorta di terzo personaggio. Per questo ho voluto una scena che trasmettesse una sensazione di claustrofobia, simile a quella vissuta dai personaggi. Come i nostri due protagonisti, anche la casa vive una trasformazione nel tempo. Al principio contemporanea, claustrofobica, specifica e piena di oggetti, progressivamente subirà uno sventramento che la porterà a essere senza tempo, ariosa e universale. Una sorta di casa delle memorie e dei ricordi, piena di ferite e detriti del loro rapporto.

RAPHAEL TOBIA VOGEL

SPETTACOLO
giovedì 16 gennaio 2025 | ore 20.45

CREDITI

SCENE DA UN MATRIMONIO
di Ingmar Bergman

traduzione Piero Monaci
con Fausto Cabra e Sara Lazzaro
regia Raphael Tobia Vogel

scene Nicolas Bovey
luci Oscar Frosio musica Matteo Ceccarini
costumi Nicoletta Ceccolini
contenuti video Luca Condorelli
adattamento teatrale Alessandro D’Alatri

In accordo con Arcadia & Ricono Ltd
per gentile concessione di Joseph Weinberger Limited, Londra,
per conto della Ingmar Bergman Foundation
© Josef Weinberger Ltd, www.josef-weinberger.com

INFO
Spettacolo inserito nella rassegna Prosa classica

 

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Siamo in prova, sul palco dove deve andare in scena Il Gioco delle Parti di Pirandello. Maurizio, il regista dello spettacolo, si aspettava un altro tecnico per il montaggio delle luci, ma si presenta Carmine, che non sa nulla dello spettacolo e soffre di vertigini. Maurizio è costretto a ripercorrere tutto il testo per farglielo capire e Carmine, pur di non salire sulla scala a piazzare le luci, si mette a discutere ogni dettaglio della regia. Le sue idee vengono da una sessualità vissuta pericolosamente, ma sono innovative, e Maurizio passa dall’irritazione all’entusiasmo, concependo infine l’idea di una regia pulp: un Gioco delle parti ambientato in uno squallido parcheggio di periferia, dove si consumano scambi di coppie. I ruoli si invertono, e ora è Maurizio che sale e scende dalla scala per puntare le luci, mentre

Carmine è diventato la mente pensante. Sembra un semplice gioco di ribaltamento dei ruoli, ma la scoperta di inquietanti verità scuoterà i precari equilibri trovati dai personaggi e farà precipitare la commedia verso un  finale inaspettato.

Il metateatro, specialità di Pirandello, viene interpretato da Edoardo Erba in chiave più attuale e irriverente. Eppure la lezione del maestro siciliano irrompe all’improvviso, quando il rapporto fra i due  personaggi va oltre il limite del prevedibile.

Divertente, intelligente e coinvolgente, Pirandello Pulp si impone all’attenzione del pubblico come  una delle più interessanti novità italiane della stagione.

SPETTACOLO
giovedì 27 febbraio 2025 | ore 20.45

CREDITI

PIRANDELLO PULP
di Edoardo Erba
regia Gioele Dix
con Massimo Dapporto e Fabio Troiano
Produzione Teatro Franco Parenti

INFO
Spettacolo inserito nella rassegna Prosa classica

 

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Stati Uniti, fine Ottocento, un salotto, due dame e una cameriera. Tutto farebbe pensare a una trama convenzionale, un incontro tra amiche un po’ affettate, ma alla forma non corrisponde la sostanza: nella conversazione dal vocabolario ricercato fioccano volgarità e veniamo a sapere che le due sono state un tempo una coppia molto affiatata. L’espressione «Boston Marriage», infatti, era in uso nel New England a cavallo tra il XIX e il XX secolo per alludere a una convivenza tra donne economicamente indipendenti da uomini.
Dopo la separazione, Anna, la padrona di casa, ha trovato un uomo ricco che la mantiene e vorrebbe ora approfittare della protezione di lui per riprendere con sé Claire, appena arrivata in visita. Ma Claire non è lì per quello; è tornata per ben altri motivi e la riconquista si rivelerà molto più complicata del previsto, con colpi di scena rocamboleschi che coinvolgeranno anche la giovane cameriera, in un crescendo ritmico esilarante, quasi da farsa.

È un Mamet diverso dal solito, che si prende una vacanza dalla gravità e gioca per il gusto di giocare, strizza l’occhio agli esperimenti brillanti di Tennessee Williams, ma, soprattutto, all’“Importanza di essere Franco” di Oscar Wilde. Protagonista assoluto, infatti, insieme alle interpreti, è il linguaggio e, di contro, il non-detto, l’allusione, la stravaganza, il paradosso. Mamet si diverte a parodiare la prosa ampollosa dell’epoca, ma dietro l’apparente assurdità della superficie si nasconde l’intento ambizioso di rovesciare la realtà attraverso uno scherzo che mira a creare anche un po’ di raffinatissimo scandalo.
Qui sta il senso anche “politico” di un testo che divertiva e stupiva insieme il pubblico americano del 1999 così come oggi può sorprendere quello italiano.

Il continuo gioco di facciate diventa la chiave di questa messa in scena che cerca di amplificare la funzione di prestidigitazione dell’opera, che nasconde da un lato per rivelare dall’altro: un set di un film o di una serie dove la finzione sembra essere l’unico modo per dire la verità.
È una prova per grandissime attrici come Maria Paiato e Mariangela Granelli, vere e proprie funambole della parola e dell’emozione che giocheranno insieme a Ludovica d’Auria questa bizzarra partita all’ultimo sangue per smascherare ogni convenzione riguardo l’Amore.

GIORGIO SANGATI

CREDITI

BOSTON MARRIAGE
di David Mamet
traduzione Masolino D’Amico
regia Giorgio Sangati
con Maria Paiato, Mariangela Granelli, Ludovica D’Auria
scene Alberto Nonnato
luci Cesare Agoni
costumi Gianluca Sbicca
musiche Giovanni Frison
assistente alla regia Michele Tonicello
produzione Centro Teatrale Bresciano / Teatro Biondo di Palermo
In accordo con Arcadia & Ricono Ltd
Per gentile concessione di A3 Artists Agency

SPETTACOLO
giovedì 03 aprile 2025 | ore 20.45

INFO
Spettacolo inserito nella rassegna Prosa classica