Corpo di Stato. Il rapimento di Moro, per Marco Baliani e gli italiani

Grande successo, ieri sera, per Marco Baliani. Il suo “Corpo di Stato” arriva a Saronno suscitando forti emozioni tra il pubblico che lo saluta al termine dello spettacolo con una standing ovation.

Dove eravate la mattina del 16 marzo 1978? È da questa domanda che prende spunto la narrazione, una domanda cruciale per gli italiani. Un giorno importante, drammatico, ancora di più per Marco Baliani.
Così l’artista ha raccontato in prima persona quegli anni. Lui che li ha vissuti partecipando anche alle contestazioni dei gruppi extraparlamentari.

Lo spettacolo termina. Il pubblico applaude. È visibilmente scosso. Anche dopo tanti anni. Molti si alzano in piedi per onorare l’attore.

La recensione di Sofia Bettocchi:

È il 16 marzo 1978, 5 uomini della scorta di Moro rimangono a terra, mentre lui viene rapito e portato via. 55 terribili giorni lo attendono sino alla sua fine.

È il 9 maggio 1978, Aldo Moro viene fatto scendere in garage, è la prima volta che vede i suoi rapitori a volto scoperto: avrà capito? Molto probabilmente sì. “Lui adesso era pedina e non conduttore del gioco”. È giallo: il corpo di Moro viene ritrovato all’interno di una Renault Rossa.

Queste sono le immagini che riecheggiano nella testa di tutti gli italiani.

Lo stesso giorno, a qualche chilometro di distanza, anche Peppino Impastato viene ucciso, ma a differenza di Moro, fino a vent’anni dopo la sua morte non si sa nulla.

Marco racconta l’esperienza di quei giorni, dei cortei, delle corse e del caos che era diventata la quotidianità. Attraverso la sua storia, quella della sua persona, riesce a trasmettere il clima di tensione che si è vissuto in quei famosi “55 giorni”.

Racconta la sua esperienza di ragazzo, i dubbi che erano insiti in tutte le persone: “Perché proprio Moro e non Andreotti o Cossiga, che noi scrivevamo con la K?”, “Con lui era morto il cuore dello Stato”.

All’annuncio del rapimento, Marco confessa di avere un momento di adrenalina, di senso rivoluzionario: in quel momento lui si trova al mercato, ma appena rientra a casa capisce quello che sta accadendo veramente.

La violenza nelle strade, nella quotidianità. Racconta di un controllo al posto di blocco: lui, la moglie Maria e il figlio Mirto di appena un anno. Trattati come dei veri terroristi, controllati da cima a fondo, “un biberon pieno di latte scivola, ma io non riesco a fermarlo”, “Controllano nelle braccia di mia moglie, per vedere se aveva altro, e mio figlio di un anno e mezzo comincia a piangere”.

Si sentivano sotto-tiro: i poliziotti da poco tempo avevano la libertà di sparare nei posti di blocco, Marco e la sua famiglia erano circondati dai mitra e se fosse partito un colpo, la legge sarebbe stata dalla parte dei poliziotti.

Racconta degli incontri con i compagni: uno di loro è finito in carcere, aveva un’arma in casa. Marco gli domanda se avesse sentito qualcosa riguardo la vicenda di Aldo Moro, lui fa segno con la mano come per dire: “Non mi interessa”.

Ed è proprio Marco che racconta questa vicenda, una vicenda vicina ma lontana. Vicina per chi come lui l’ha vissuta in prima persona, lontana per chi, come noi giovani 2.0, di Aldo Moro conosciamo solamente il nome e forse, non sempre, la sua storia e la sua fine.

Marco Baliani questa sera ci ha permesso di entrare nel clima che negli anni ’70 si respirava in Italia, di fare un salto nel tempo e di conoscere meglio la storia di Aldo Moro, e soprattutto di comprendere come gli italiani si sentivano dopo che il “cuore dello Stato” era stato colpito e ucciso.

 

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