Antonio Latella dirige La locandiera con Sonia Bergamasco nel ruolo di Mirandolina.
Una produzione firmata TSU tra le più attese dai maggiori teatri italiani.
“Mirandolina gestisce la locanda ereditata dal padre, insieme al fedele Fabrizio, cui è legata da una promessa di matrimonio fatta al padre prima che morisse. Nella sua locanda due clienti, il Conte d’Albafiorita e il Marchese di Forlipopoli, entrambi innamorati di lei, si contendono le sue attenzioni, usando le armi che hanno a disposizione: i soldi uno e il titolo nobiliare l’altro. La donna però riesce con intelligenza e superiorità ad arginare i corteggiamenti, consentendosi di tanto in tanto (quando i limiti della convenienza lo consentono) di ricavarne anche qualche piccolo dono. Di fronte alla misoginia del Cavaliere di Ripafratta, altro cliente della locanda, che dichiara con forza il suo disprezzo verso le donne, Mirandolina si sente sfidata nel suo potere di seduzione e decide di mettere in atto un piano per farlo capitolare.
Tra equivoci e inganni, arricchiti e movimentati anche dall’arrivo in locanda delle due attrici Ortensia e Dejanira, Mirandolina riesce nell’intento di far innamorare il Cavaliere, che però, poi, perde la testa diventando pericoloso. La quiete si ristabilisce quando Mirandolina accetta di sposare Fabrizio, mettendo fine quindi alle pretese di tutti gli altri corteggiatori. Ma come in altre opere goldoniane la fine degli intrighi porta con sé un’ombra di malinconia”.
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NOTE DI REGIA
Penso a Café Müller di Pina Bausch. Penso ad una donna nata e cresciuta nella Locanda. Un luogo-mondo che accoglie infiniti mondi. Nel testo goldoniano il tema dell’eredità è il punto cardine di tutto. Mirandolina seduta sul letto di morte del padre riceve in eredità la Locanda, ma anche l’ordine di sposarsi con Fabrizio, il primo servitore della Locanda. In questo credo che ci sia una inconsapevole identificazione del padre con il servo, come erede virtuale in quanto maschio. Più che un uomo per la figlia, il padre sceglie un uomo per la Locanda, un uomo pronto a tutto pur di proteggere la Locanda.
Credo che Goldoni con questo testo abbia fatto un gesto artistico potente ed estremo, un gesto di sconvolgente contemporaneità: innanzitutto siamo davanti al primo testo italiano con protagonista una donna, ma Goldoni va oltre, scardina ogni tipo di meccanismo, eleva una donna formalmente a servizio dei suoi clienti a donna capace di sconfiggere tutto l’universo maschile, soprattutto una donna che annienta con la sua abilità tutta l’aristocrazia. Di fatto Mirandolina riesce in un solo colpo a sbarazzarsi di un cavaliere, di un conte e di un marchese. Scegliendo alla fine il suo servitore come marito fa una scelta politica, mette a capo di tutto la servitù, nobilita i commercianti e gli artisti, facendo diventare la Locanda il luogo da dove tutta la storia teatrale del nostro paese si riscriverà, la storia che in qualche modo ci riguarda tutti. Goldoni fa anche un lavoro sulla lingua, accentuando un italiano toscano.
Per essere Mirandolina bisogna essere capaci di mettersi al servizio dell’opera, ma anche non fare del proprio essere femminile una figura scontata e terribilmente civettuola, cosa che spesso abbiamo visto sui nostri palcoscenici. Spesso noi registi abbiamo sminuito il lavoro artistico culturale che il grande Goldoni ha fatto con questa opera, la abbiamo ridimensionata, cadendo nell’ovvio e riportando il femminile a ciò che gli uomini vogliono vedere: il gioco della seduzione. Goldoni, invece, ha fatto con questo suo testamento, una grande operazione civile e culturale.
Siamo davanti ad un manifesto teatrale che dà inizio al teatro contemporaneo, mentre per una assurda cecità noi teatranti lo abbiamo banalizzato e reso innocente. La nostra mediocrità non è mai stata all’altezza dell’opera di Goldoni e, molto probabilmente, non lo sarò nemmeno io. Spero, però, di rendere omaggio a un maestro che proprio con Goldoni ha saputo riscrivere parte della storia teatrale italiana: parlo di Massimo Castri.
Antonio Latella
ALCUNE RICETTE DEL MENÙ DELLA LOCANDA
Sonia Bergamasco
Mirandolina, locandiera
La vellutata di zucca dei miei sogni, l’ho mangiata a Verona.
C’era sicuramente dello zenzero, tagliato a listarelle sottili e leggermente ripassato in padella – compagno squisito.
Ma in quella vellutata, certamente, c’era qualche altro ingrediente “segreto”, che il cuoco non mi ha rivelato, e che quindi trattengo come memoria di un gusto, prodigioso.
Non sono in grado di replicare quel segreto di velluto, bello da vedere, strepitoso da gustare. Però ve lo offro, in questa forma, perché diventi anche il vostro, di sogno.
Marta Cortellazzo Wiel
Ortensia, comica
Ingredienti: 1 litro di latte, 250 gr di semolino, burro qb, grana qb
Procedimento:
Far bollire il latte, aggiungere un po’ di sale.
Versare a pioggia il semolino mescolando con la frusta. Far cuocere per 5 minuti.
Togliere dal fuoco e aggiungere la grana mescolando ancora.
Versare il composto su un piano e formare una spianata livellando con il coltello.
Quando il composto è freddo, tagliarlo a losanghe e disporlo su una teglia imburrata.
Aggiungere grana e fiocchi di burro e mettere in forno per circa 30 minuti.
Giovanni Franzoni
Il Marchese di Forlipopoli
Ingredienti x 4 persone: 6 seppie con sacchetto di inchiostro, carota, cipolla, sedano, olio, sale, vino bianco, prezzemolo, riso
Preparazione:
Fare il soffritto con la carota, la cipolla ed il sedano tagliatefini. Pulire le seppie togliendo l’osso e le interiora.
Tenere il sacchetto contenente l’inchiostro.
Tagliare le seppie a striscioline.
Fine, cuocerle nel soffritto.
Aggiungendo i bicchieri di vino bianco.
Quando le seppie sono cotte, aggiungere il riso e di tanto in tanto del brodo vegetale.
Dopo 15 minuti, aggiungere il nero di seppia e cuocere per altri 3 minuti, mescolando per annerire il tutto.
Terminare la preparazione aggiungendo prezzemolo e olio crudo.
ESTRATTI DI RASSEGNA STAMPA
“Ben congegnato, lo spettacolo si fa amare per la perfetta e significante amalgama di tutti questi elementi, governato da uno stuolo di attori sempre in parte e dalla presenza autorevole di Sonia Bergamasco, che dà smalto e nuova potenza ad un personaggio di moderna e autorevole consistenza”.
Mario Bianchi per Krapp’s Last Post
“Sulla scena di Antonio Latella, il realismo di Carlo Goldoni appare custodito e tradito insieme: se gli ambienti, gli abiti e la dizione evocano la contemporaneità, è nell’equivocità latente, in tante piccole contraffazioni, la cifra di una ricerca estetica che, senza sovvertire, insinua. Sembra esserci qualcosa che non torna, un sentore di anomalia, una sfasatura. Mark Fisher, chiosando la nozione freudiana di unheimlich, lo ha definito «lo strano all’interno del familiare, lo stranamente familiare, il familiare come strano – il modo in cui il mondo domestico non coincide con se stesso»”.
Ilaria Rossini per teatroecritica
“La Locandiera di Latella è un lavoro ricco di stratificazioni e rimandi, citazioni ed allusioni, uno spettacolo complesso, che vuole mettere in luce – ma non sempre ci riesce – la forza rivoluzionaria e politica di un testo che vede per la prima volta una protagonista femminile, emblema di emancipazione e simbolo di un cambiamento che segnerà tutta la drammaturgia a venire”.
Valentina Scocca per Teatro.it
LA LOCANDIERA
di Carlo Goldoni
regia Antonio Latella
con Sonia Bergamasco, Marta Cortellazzo Wiel, Ludovico Fededegni, Giovanni Franzoni, Francesco Manetti, Gabriele Pestilli, Marta Pizzigallo, Annibale Pavone
dramaturg Linda Dalisi
scene Annelisa Zaccheria
costumi Graziella Pepe
musiche e suono Franco Visioli
luci Simone De Angelis
assistente alla regia Marco Corsucci
assistente alla regia volontario Giammarco Pignatiello
produzione Teatro Stabile dell’Umbria
Personaggi e interpreti:
Il Cavaliere di Ripafratta, Ludovico Fededegni
Il Marchese di Forlipopoli, Giovanni Franzoni
Il Conte di Albafiorita, Francesco Manetti
Mirandolina, locandiera, Sonia Bergamasco
Ortensia, comica, Marta Cortellazzo Wiel
Dejanira, comica, Marta Pizzigallo
Fabrizio, cameriere di locanda, Annibale Pavone
Servitore, Gabriele Pestilli